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Il pianto del neonato e i dubbi dei genitori.

Il neonato esprime i suoi bisogni utilizzando il pianto. Possono essere bisogni fisiologici (fame, sonno, freddo, sensazione di bagnato, coliche), o psicologici (bisogno di contenimento, di contatto, di protezione).

Non sempre il senso di questo pianto è chiaro ai genitori, che a volte si chiedono: “farò bene a prenderlo in braccio e andare in suo aiuto? E se fosse un “capriccio”? E se in questo modo lo vizio?”.

Cosa succede a un neonato che riceve una risposta sufficientemente pronta al suo richiamo? Immagazzina un’esperienza buona, rappresenta se stesso come un oggetto degno d’amore e competente nella comunicazione, e il mondo come un posto sicuro verso il quale nutrire fiducia.

Al contrario, un bambino che non riceve risposte sufficientemente sollecite o coerenti, rappresenterà se stesso come un soggetto di scarso valore, indegno d’amore, incapace nella comunicazione e il mondo come un luogo pericoloso e imprevedibile.

Queste rappresentazioni lo guideranno nel suo rapporto con gli altri e con il mondo.

I bambini e le emozioni. La rabbia.

La rabbia è un sentimento complesso e difficile da gestire, sia per gli adulti che, a maggior ragione, per i bambini.

Fin da piccoli i bambini sperimentano questa emozione  e ne sono spaventati. Non sanno cosa succederà se lasceranno uscire l’aggressività, non sanno se qualcuno davvero si farà male, se la loro rabbia provocherà una catastrofe.

Hanno bisogno di essere accompagnati nella scoperta di questa emozione.

Se un genitore mostra di essere fragile e vulnerabile, di essere ferito/deluso/mortificato dalla rabbia del suo bambino (“se fai così la mamma piange/ci rimane male”), se si mostra incapace di tollerarla e contenerla, il bambino vedrà confermato il suo timore, sentirà se stesso come un bambino cattivo e la rabbia come un’emozione pericolosa, distruttiva, da reprimere e nascondere per non arrecare dolore. Forse sarà un bambino facile da gestire, accomodante, ma dentro di lui la rabbia continuerà a crescere in segreto e non lo aiuterà a sperimentarsi nel mondo con la giusta dose di aggressività che serve per affermarsi.

Allo stesso modo se il genitore reagirà sminuendola (“non c’è bisogno di arrabbiarsi per una sciocchezza simile), o sanzionandola come manifestazione che oltraggia l’autorità(“come osi arrabbiarti con tuo padre”)il bambino dovrà tenere da solo la rabbia che prova, non saprà cosa fare di questa emozione potente che gli brucia dentro, e troverà dei canali poco adeguati per gestirla.

È invece diritto del bambino arrabbiarsi, anche per “sciocchezze”, e avere accanto qualcuno che lo aiuti a comprendere e ad esprimere nel modo giusto (a parole, con i disegni, con il gioco) questo sentimento, e che lo rassicuri sul fatto che la rabbia è un’emozione legittima, e può essere nominata e condivisa.

Sulla genitorialità

Spezzare le catene del dolore…un nuovo modo di essere genitore.

Anna non ha avuto un’infanzia felice. Non veniva coccolata, ascoltata, protetta. I suoi genitori non riuscivano a vedere i bisogni di quella piccola bambina, troppo presi a cercare di appagare i loro. Anna ha sempre pianto da sola, e da sola si é consolata, da sola ha giocato e si é data le risposte alle domande più angoscianti, da sola ha avuto paura e si é fatta forza
Anna é cresciuta troppo in fretta. É stata ubbidiente, silenziosa, coscienziosa, ma dentro di sé porta le ferite di una bambina non ascoltata.
Ora Anna é diventata mamma di una bella bambina sana e forte. Non appena la sua bimba emette un vagito Anna corre a consolarla, non riesce a tollerare il suo pianto, basta un piccolo lamento e ad Anna si stringe lo stomaco e sente i richiami disperati non accolti della bambina che era. Soddisfa all’istante ogni suo bisogno, lo anticipa, terrorizzata all’idea di fare provare alla sua bambina il senso di solitudine e paura che ha sperimentato lei.
Pensa in questo modo di fare il meglio per sua figlia….

Elisa é una donna apparentemente molto forte. Nemmeno lei é stata felice da bambina. La madre la criticava continuamente, le diceva che non valeva niente, la squadrava con occhi gelidi per farle capire tutto il suo disprezzo. Lei si sentiva orribile, la bambina più abbietta e schifosa esistente sulla terra. Ma crescendo quei ricordi si sono persi, la sua infanzia é avvolta dalla nebbia, e ora che é mamma Elisa, senza rendersene conto, guarda sua figlia con lo stesso gelido sguardo, e la apostrofa con lo stesso tono rabbioso e svalutante.
Questo é l’unico modo che conosce per fare la madre…

Queste due vignette illustrano quello che Selma Freiberg definisce “i fantasmi nella stanza dei bambini”.
Queste due donne diventano madri senza aver potuto fare i conti con la loro storia di figlie, senza aver elaborato le loro ferite e i loro dolori. La prima madre vede se stessa nella figlia, e proietta in lei la sua fragilità e sofferenza, non permettendole di sperimentare la frustrazione non riconoscendole risorse che sicuramente possiede.
La seconda madre non riesce a svincolarsi dal copione passato. La voce critica che ha sperimentato come vittima é rimasta dentro di lei e riappare ora, utilizzandola come carnefice della figlia.
Non solo storie di abusi conclamati o maltrattamenti portano ad avere difficoltà come genitori.
Ogni genitore é stato figlio, e quello che ha interiorizzato della sua storia e del modo di essere genitore influenzerà il suo modo di relazionarsi con il proprio bambino.
Queste due vignette farebbero pensare che le strade possibili siano esclusivamente due: ripetere il copione genitoriale oppure cancellarlo e tentare una modalitá opposta. Nessuna di queste soluzioni porterá a una genitorialitá serena e libera. Entrambe queste madri insceneranno storie drammatiche, e riprodurranno dinamiche genitore-figlio disfunzionali.
Per essere genitori davvero, autenticamente, occorre prendere in mano la propria storia, riattraversarla, elaborarla, e consapevoli di chi si é stati e delle proprie parti fragili e sensibili, approntarsi al difficile compito di aiutare un figlio a crescere.